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Pensionamento “coatto”:

fare chiarezza sulle norme.

 

 

Documento Associazione Nazionale Presidi

 

A numerosi dirigenti scolastici, di diverse regioni italiane, stanno pervenendo in questi giorni comunicazioni di risoluzione del rapporto di lavoro da parte dei competenti Uffici scolastici regionali. Alcuni di questi hanno anche formalizzato con una circolare i criteri cui si stanno attenendo per l’individuazione dei destinatari di tali provvedimenti.

In sintesi, sembra che si tratti di coloro che hanno maturato, entro il 2011, uno o più dei seguenti requisiti (non tutti gli uffici si esprimono con uguale chiarezza in merito):

-          aver compiuto i 65 anni di età                                                         e/o

-          aver compiuto i 40 anni di anzianità utile contributiva                   e/o

-          aver superato la cosiddetta “quota 96” (come somma dell’età anagrafica e della anzianità contributiva).

Quasi tutte le comunicazioni fanno riferimento, quale fonte del provvedimento, al comma 20 dell’art. 24 della legge 214/11. In realtà quel comma dice tutt’altro: anzi, precisa che a partire dal 1° gennaio scorso, i requisiti per la risoluzione del rapporto devono essere quelli, più elevati, recati dalla nuova normativa in materia di pensionamento. E dunque nessun richiamo ai 65 anni o alla quota 96 o al compiuto quarantennio, che sono i requisiti “vecchi”.

Fino alla prova del contrario, la norma vigente in materia rimane l’art. 72 co. 11 della legge 133/08, di conversione del DL 112/08. Quel comma, più volte rimaneggiato dal legislatore, prevede per le pubbliche amministrazioni la facoltà (“possono”), non l’obbligo, di risolvere il rapporto di lavoro al compimento del limite massimo di anzianità contributiva utile. Ed anche la recente legge di stabilità (n. 183/11 art. 16 co. 1) si limita a richiamare la vigenza di quella norma, sia pure vincolando le Amministrazioni ad utilizzarla in caso di soprannumero.

Le diverse comunicazioni emanate in questi giorni parlano invece di una sorta di automatismo cui gli Uffici regionali sarebbero tenuti, facendo vaghi riferimenti a pronunciamenti della Funzione Pubblica che risultano irreperibili sui siti istituzionali. Quanto al MIUR, per ora, tace: al punto che non ha neppure emanato l’annuale circolare sui pensionamenti, neppure dopo la scadenza del termine ordinario per presentare le domande (fine febbraio).

Allora, di cosa stiamo parlando? Quale è, se esiste, la norma di riferimento che obbligherebbe gli uffici a dismettere d’ufficio tutti i dirigenti che si trovano nelle condizioni indicate? Si tratta, come sottovoce qualcuno dice, di un provvedimento cautelativo – adottato in tutta fretta entro il 29 febbraio (in modo da non superare il termine di preavviso imposto dalla legge) – per avere il tempo di aspettare i pronunciamenti ufficiali di Funzione Pubblica e MIUR?

Se è così, è bene dire con chiarezza che non è lecito giocare con la vita ed il lavoro di centinaia di dirigenti e con la stabilità delle rispettive istituzioni scolastiche, solo perché “i competenti uffici” non sanno che pesci pigliare e si cautelano “licenziando”; salva – forse – la riserva mentale di riassumere in seguito, se i chiarimenti arriveranno.

Sarà poi da ricordare un’altra cosa: poiché la legge qualifica come facoltà quella di adottare i provvedimenti in questione, i relativi provvedimenti – come tutti quelli che la Pubblica Amministrazione adotta nell’esercizio di un potere discrezionale – devono essere motivati uno per uno. Non emessi serialmente con generico riferimento ad una norma che, allo stato, non esiste o dice tutt’altro.

 

Ulteriore considerazione: tutto l’intervento legislativo sulle pensioni si ispira ad una “ratio” dichiarata, l’innalzamento dell’età pensionabile. Sembra invece che l’Amministrazione stia adottando comportamenti divergenti, o addirittura opposti: che utilizzi cioè quelle norme per allontanare anticipatamente dal lavoro coloro che desidererebbero permanervi.

Per farlo, richiama in vita “retroattivamente” i requisiti che vigevano fino al dicembre scorso, ma che oggi sono superati dalle nuove disposizioni. Nel momento in cui questi provvedimenti  vengono emanati, i requisiti per cessare dal servizio sono diversi e più elevati. Si diceva una volta: tempus regit actum. Non vale più?

 Non sarebbe certo il primo caso di disapplicazione per via amministrativa della volontà manifestata dal legislatore: ma questo non significa che il fatto compiuto sia sempre da accettare, né sotto il profilo politico, né sotto quello giuridico.

Il mondo della scuola è già sommerso da un numero impressionante di cause di lavoro e di ricorsi seriali, che minacciano seriamente di paralizzarne il funzionamento. A chi giova aggiungere un ulteriore focolaio di scontro, che per giunta va a colpire le posizioni chiave della struttura, quelle che fino ad oggi hanno bene o male garantito la tenuta del sistema?

 

Da ultimo, ma non meno importante. Come sempre, quando si tratta di adottare scelte dolorose, entrano in conflitto fra loro gli interessi concorrenti dei diversi attori: i dirigenti che si vorrebbe sbrigativamente allontanare, quelli coinvolti nel dimensionamento (che aspirerebbero ad una nuova sistemazione non troppo penalizzante), i candidati del concorso in atto (che, sempre a causa del dimensionamento, vedono restringersi il numero di posti disponibili e desidererebbero, comprensibilmente, recuperarne almeno una parte). Si pongono cioè le une contro le altre persone che hanno tutte legittimi interessi da difendere.

Che in un contesto di riduzione significativa degli organici non si possano far salve tutte le posizioni è un’ovvietà: ma è soprattutto in questi casi che legittimità e imparzialità devono essere criteri vincolanti per la Pubblica Amministrazione, come vuole il precetto costituzionale. Fughe in avanti, improvvisazioni, interpretazioni sommarie e falsamente cautelative non sono accettabili.

Insieme con i diritti o gli interessi dei singoli, qui sono in gioco principi fondamentali che non possono essere sottovalutati. Come non si può dimenticare che l’incertezza del diritto ed il conflitto permanente sottraggono alle scuole ed ai loro utenti la serenità e la prospettiva di continuità che sono indispensabili per bene operare. Anche per loro è fondamentale che le scelte siano compiute nel rigoroso rispetto della norma e con la massima trasparenza.

 

 

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